Combattimento di Achille e Pentesilea (2019) |
PENTESILEA
Lo Scamandro brillava sotto il sole discendente ma ancora bianco e luccicava come una lama tagliando la pianura arida che divideva Troia dalle navi minacciose degli Achei. All'orizzonte si disegnavano le loro sagome furtive e la pianura appariva come indifesa sotto un cielo implacabile e blu.
Le polveri che si sollevavano sulla distanza fecero capire ad Achille che le Amazzoni si avvicinavano. Erano le nuove forze con cui Ilio doveva tentare una riscossa dopo che Ettore era morto.
Si fecero avanti con furia sui loro cavalli imbracciando gli archi crudeli e mirando agli Achei. Questi occupavano una favorevole posizione perché erano controluce e il sole basso sull'orizzonte abbagliava a tratti e disturbava la mira alle guerriere. Poi la lotta si fece corpo a corpo, selvaggia, con le lame sguainate e il rumore dei ferri che tintinnavano e s'intrecciavano come in una danza feroce.
Alla fine rimasero solo loro due, Achille e Pentesilea. Improvvisamente lei sentì come un'onda investirla. Era forse la luce del sole sempre più basso che le appannò la vista, o forse erano gli occhi di Achille, quell'azzurro infinito, divino, quell'azzurro luminosissimo che si conficcava nei suoi occhi investendola come una vampa che era forse odio o forse era desiderio. Ma questo lei non poté chiederselo perché in quell'attimo di appannamento, quell'attimo di offuscata estasi, Achille le si fece addosso, tese la lancia e la conficcò sotto il seno sinistro di lei. Subito il sangue ne sgorgò copioso a fiotti inondandole il corpo.
Achille allora si slanciò per raccoglierla e si ritrovò lentamente a scivolare su di lei che tra i palpiti stava perdendo la sua anima grande. Lui la strinse a sé e d'improvviso il desiderio lo sopraffece. Era stata davvero una vampa di passione quella che aveva incendiato i loro occhi fino ad offuscarli.
Scivolò in quel corpo e tra i singulti si trovò a penetrarla. Si perse nel corpo di lei, si confuse. Il suo viso fu sommerso dal sangue che continuava a scorrere a fiotti e l'orgasmo si mischiò ai rantoli della morte. Raccolse l'ultimo respiro di lei in un bacio folle e infinito. E si scoprì a piangere e le lacrime gli tracciarono delle strisce chiare sul viso che quel sangue aveva ricoperto di una patina rossa.
Restò così, a capo chino, piangendo su di lei. Poi si sollevò e la tenne tra le braccia come in una Pietà cristiana mentre il sangue disegnava una mezzaluna rossa davanti ai suoi piedi.
Gocce di sangue pendevano come rubini dai suoi riccioli d'oro e le lacrime continuavano a scendere copiose lungo le sue guance. Poi un'onda di collera gli sollevò il petto, bruciò i suoi occhi e asciugò le sue lacrime. Achille gridò il suo dolore e la sua ira a quel cielo crudele, a quel fato che lo costringeva a restare invulnerabile in mezzo alle morti che ad una ad una segnavano le sue giornate.
Continuò a gridare, con quel corpo ormai esanime tra le braccia, ancora di una bellezza sublime ma tinto di quel rosso finale. In quell'isola di dolore e d'amore, aspettò finché fu il cielo a tingersi di quello stesso rosso e a incendiare tutto l'orizzonte sul mare e sulle navi, che si disegnavano ora nere su quello sfondo tragico.
Questo il racconto.
Ennio ferma la scena in tre fasi diverse. La guerriera con le sue armi, il corpo a corpo, lo slancio di Achille sulla sua vittima ormai inerme.
A dispetto della Storia che la presenta allenata, bronzea e fortissima, decisa a vincere e uccidere il nemico senza pietà o esitazione, la guerriera Pentesilea appare qui nuda e fragile, espone il suo corpo diafano e gentile alla incontenibile aggressività del grande Achille.
Nel trittico di Pentesilea, che è il dipinto centrale del ciclo, tale contrapposizione è resa tangibile dalla presenza dei due personaggi, mentre nelle altre tele ogni donna è dipinta sola. Sola anche a sottolineare la condizione di solitudine in cui spesso la donna si trova a decidere e lottare, senza violenza ma con fermezza e coraggio per realizzare i suoi desideri o bisogni o idee.
Ogni giovane donna è presentata prima che il suo destino prenda la via, in molti casi tragica o violenta, che ognuna di esse ha percorso.
Ennio lascia intendere che benché in molti casi la responsabilità di ciò che faranno non sarà la loro, comunque renderà il loro nome funesto e maledetto come quello della Monaca di Monza o di Pandora o di Lucrezia.
Questa serie di splendide pitture, dietro alla fresca bellezza, pone il problema del ruolo della fortuna nella vita umana e fa riflettere sul grande tema del libero arbitrio che è rimasto sempre aperto anche a livello giuridico e non solo nel profondo della coscienza. Perfino Gertrude non ha lo stigma della perversione e crudeltà che l'ha marchiata d'infamia facendone un modello di malvagità.
Ennio insinua un dubbio di innocenza violata, di ingiustizia subita, di giovinezza sacrificata. Sempre assente è il giudizio morale sulle donne, comunque scrigno di vita e di bellezza, colta nella sua fragilità e fugacità.
Il tono di queste evocazioni richiama la celebre Ballade des dames du temps jadis di François Villon che contiene una serie di dodici ritratti di donne storiche o leggendarie famose ai suoi tempi. Où sont les neiges d'antan? è il ritornello della ballata, dove si associa alla bellezza femminile la neve e il suo effimero candore.
Bianco-neve associato alla donna, come il panno bianco è associato nella pittura sacra alla Madonna.
Anche Villon non giudica nessuna di loro pur se condannata dalla Storia e ne canta la vicenda con malinconia e rimpianto. Esse hanno in comune, come quelle di Ennio, la bellezza e la morte.
Questa combinazione ne fa il simbolo struggente del tempo inarrestabile e fuggitivo.
Dopo il dramma di Pentesilea, entriamo in un placido cortile dove dalle finestre si affacciano fanciulle soffuse di luce bianca, una luce che loro stesse sembrano irradiare. Il tenero candore del loro incarnato suscita tenerezza ed evoca tepore di pelle gentile.
Incontriamo lo sguardo di Pandora che tiene orgogliosamente il vaso rovinoso, suo destino e suo stigma, con la naturalezza e la grazia di una donna che abbia raccolto l'acqua fresca del pozzo.
Saffo "la bella" alza gli occhi dal rotolo sul quale sta incidendo versi e reca tatuata sul braccio una sua strofa perché la poesia è ineluttabile destino di vita e di letteratura per lei.
Pandora |
Saffo |
L'armonia del movimento vorticoso e voluttuoso della danza ci fa assolvere Salomè che sembra inconsapevole della decapitazione del Battista.
Frine |
Salomè |
Miriam invece non ha colpe, ma la troppa luce, luce ultraterrena, la investe con un'emozione che le provoca un moto di difesa, di ritrosia, come nella tradizione di molte Annunciazioni.
Miriam |
Teodora è lontana dall'immagine di lei che i mosaici ravennati ci hanno dato, la Teodora imperatrice, carica di potere. Qui è figura leggiadra e senza peso, la danzatrice non oberata di pietre e diademi, con veli che le danzano addosso senza appoggiarsi sulla pelle luminosa.
Francesca da Rimini, indimenticabile per il pathos e la commozione del testo dantesco, qui ha gli occhi sognanti della donna innamorata soffusa languore in una fantasia di bianche lenzuola.
Teodora |
Francesca da Rimini |
Lucrezia Borgia |
Veronica Franco |
La Monaca di Monza |
Artemisia Gentileschi |
Mata Hari |