Se c'è un pittore originale, questo è Bruno Donzelli.
Si dice, da parte di moltissimi, che ormai tutto è stato tentato nel campo della pittura e non ci sono più possibilità di fare qualcosa di nuovo e originale, e questo a dispetto delle tante avanguardie che si sono rubate la scena nell'arco di tutto il XX secolo. È anche tipico da parte dei critici d'arte di ricollegare ogni pittore a una corrente o a un'altra, a un caposcuola o a un altro e comunque individuare l'iniziatore di una determinata tecnica, facendo a gara nel risalire la scala filogenetica il più indietro possibile. Non si discute nemmeno più la legittimità di una tendenza alla citazione, godendo della caccia ai rimandi quasi fosse una sfida tra pittori e critici.
In questo quadro culturale c'è un pittore che spunta le armi a tutti dichiarando apertamente le sue fonti d'ispirazione. Donzelli non imita nessuno né segue una corrente, Donzelli fa. Il suo percorso si svolge solo sopra alle tele dei famosi pittori del '900, ci cammina sopra con i suoi colori e i suoi pennelli, rifugiandosi nei loro stilemi e segni caratteristici. Donzelli denuncia lo stato di fine millennio e di esaurimento delle possibilità espressive. Sembra dire che ormai si può prescindere dal senso profondo esistenziale delle opere d'arte per navigare sulle loro forme. Strappa i segni dal momento storico e psicologico che li hanno generati e li ripropone come feticci culturali. Subito riconoscibili. E, a scanso di ogni dubbio, scrive grandissimo e più volte il nome del pittore cui il suo quadro si riferisce rendendo anche quelle lettere, scritte in un frettoloso stampatello, un luogo comune.
La citazione è così esplicita da essere sfacciata e perfino sguaiata. Una micidiale aggressività traspare dai colori e dai segni decisi e netti, un'energia tribale guida il pennello quasi fosse un'arma durante un rito totemico. Il pittore si riconosce membro di una tribù i cui totem sono i celebri antenati. Da questi si riconosce posseduto. Ma nella stessa possessione trova il suo riscatto, la liberazione. I suoi Picasso, i suoi Dine, Burri o Fontana sono semplici icone che richiamano il passato e ne denunciano la lontananza, hanno perso l'aggancio rivoluzionario al presente, sono una galleria di ritratti di famiglia ben spolverati e lucidi.
Mi ha colpito un'affermazione che Bruno Donzelli ha fatto a Eligio Fulli e che cito liberamente: se non dipingessi, starei in manicomio. La necessità dell'arte per sopravvivere e per leggere il senso del vivere spiega la tremenda energia che si coglie nei quadri di Donzelli. C'è un bisogno assoluto di trovare forme sintetiche attraverso le quali interpretare il mondo e c'è l'ammissione, senza possibilità di repliche, che queste forme sono già state create e non se ne possono inventare altre. Così la palese aggressività dei suoi dipinti si può interpretare come amore, l'amore impossibile di Cervantes per i poemi cavallereschi in Don Chisciotte o la passione letteraria e suicida di Emma Bovary.
The Palette and the impossible Love
Bruno Donzelli's exhibition at "Il Gianicolo", Perugia
If there is an original painter, this is Bruno Donzelli.
It is usually said, by many, that everything has been tried in the field of painting and there are no more opportunities to do something new and original, and this in spite of the many avant-garde that have stolen the scene during the whole XX century. It is also typical by art critics to reconnect every painter to a current or another, to a master or another, and to identify the initiator of a particular technique, competing in tracing the phylogenetic scale as far back as possible. There is no disputing the legitimacy of the tendency to quote, enjoying the hunt for references as if it were a contest between painters and critics.
In this cultural context there is a painter who blunts their weapons, openly declaring his sources of inspiration. Donzelli does not imitate anyone or follow a current, Donzelli makes. His journey takes place only on the paintings of famous painters of the '900, walks on them with his colors and paintbrushes and finds refuge in their stylistic and characteristic signs. Donzelli complaints the end of the millennium and the exhaustion of expressive possibilities. He seems to say that now we can ignore the profound existencial sense of artworks to navigate on their forms. Ripping the signs away from the historical and psychological condition that generated them, he proposes them as cultural fetishes. Immediately recognizable. And, for the avoidance of any doubt, he writes big and repeatedly the name of the painter referred to in his work making even those words, written in hurried block letters, a commonplace.
The quote is so explicit as to be bold and even coarse. A deadly aggressiveness is reflected by the determined colors and signs, a tribal energy guides Donzelli's brush as if it were a weapon during a totemic ritual. The painter recognizes himself a member of a tribe whose totems are its famous ancestors. By these he feels possessed. But in the same possession he finds his redemption, liberation. His Picasso, his Dine, Fontana or Burri are simple icons that recall the past and denounce the distance, they have lost the revolutionary grip to the present, they form a gallery of well-dusted and polished family portraits.
I was struck by a statement that Bruno Donzelli made to Eligio Fulli and I quote freely: had I not been a painter, I would have been in a mental hospital. The necessity of art to survive and to read the meaning of life through it explains the tremendous energy that we find in the paintings of Donzelli. There is an absolute need to find synthetic forms through which to interpret the world. There is also the admission without the possibility of any reply that these forms have already been created and that no new ones can be invented. So the blatant aggression of his paintings can be explained as love, like Cervantes' impossible love for the poems of chivalry in Don Quixote, or Emma Bovary's literary passion and suicide.
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