Dissolvenze Incrociate espone i lavori di coppie di artisti invitati da Giuseppe Salerno a costruire un percorso che nell'arco di quattro tele va dal mondo espressivo dell'uno a quello dell'altro, nella “modalità del linguaggio cinematografico… dove una realtà lentamente svanisce e una nuova emerge… Un sovrapporsi momentaneo di fotogrammi, una sequenza di atmosfere...”
Gli
artisti hanno accolto l'invito di Giuseppe con impegno e
generosità e i risultati sono bellissimi. Hanno aperto
le barriere entro le quali germogliava la loro energia creativa
accogliendo la linfa estranea. Hanno costruito dei lavori simbiotici
di splendida qualità estetica, avvincenti
e sorprendenti. La mostra vuole raccontare storie come film e
costruire metafore liberando sogni e simboli che viaggiano da una
tela all'altra.
Inevitabile guardare il
flusso dei pensieri, dei segni e dei colori da sinistra verso destra
come è abituale per noi, ma alla fine del percorso si torna a
ritroso a cogliere l'insinuarsi e il sovrapporsi dei segni
interpretando forse una storia più complessa e non rettilinea.
Il
tranello in cui gioiosamente cade lo spettatore è proprio il
desiderio di individuare una cronologia, una catena di eventi in
ciascuna delle opere
in quattro parti. Ogni opera ha una dialettica circolare,
non aristotelica, per cui ad ogni passaggio dello sguardo nuovi
significati vanno a investire le
altre parti. Il risultato
intriga chi guarda e l'insieme è molto di più della somma delle
quattro tele, perché in ognuna si riverberano le altre tre. E benché
le due centrali siano quelle in cui materialmente si realizza la
sintesi, anche le altre ne traggono luce.
Così la ballerina di Angelisa Bertoloni si trova a ballare sulle pericolose schiume blu ribollenti di David Urru e tutto diventa danza. La forma al suo massimo di definizione estetica sembra lottare contro il suo rivale in quello che pare un combattimento e ricorda la lotta dei cartoons contro la “salamoia” nel film di Roger Rabbit.
Le strutture urbane assolate, i muri antichi meridionali grondanti di storia e ricordi di Pippo Cosenza si frantumano nei mosaici spaziali di Achille Quadrini e vanno a sospendersi in un etere luminescente.
Le
aree di colori contrastanti simili a collage di Riccardo Fioretti si
riempiono a poco a poco di oggetti, ma si potrebbe dire che il mondo
sovraccarico di cose, persone e ricordi di Maria Silvia Orlandini si
va semplificando verso la purezza del colore privo di volume.
Il mondo onirico e angoscioso di Rita Albertini, chiuso dentro una stanza senza finestre o porte, viene penetrato da coni di luce fino a perdere le pareti mentre i personaggi escono dalla prigionia e scompaiono nelle trame geometriche create da Arnhild Kart.
Lughia e Caterina Prato si sono legate tramite un antico viottolo di cipressi che si snoda da una tela all'altra serpeggiando. È percorso a piedi nudi da una donna diretta al campanile nel blu, elegantissimo colore ricorrente che dal vestito della prima scena fa intuire la rete simbolica di un percorso esistenziale e spirituale.
Il
passaggio dalle minute
articolazioni del legno finemente lavorate in una struttura di apparente complessa funzionalità alla uniforme pace della terracotta verso la concretezza ruvida di sagome elementari affascinano nel lavoro di Enrico
Miglio e Fabio Grassi.
Lo schema forse della terra, forse della coscienza di Mario Boldrini si insinua nel paesaggio di Cecilia Piersigilli arricchendolo ancora di mistero.
La spazialità coloratissima di Ferruccio Ramadori, impressione di un cosmo in disordinata evoluzione, irrompe nelle forme chiuse e smaltate di Stefano Chiacchella, insinuando dubbi e corrodendo le superfici fino a ritornare all'illusione di una rappresentazione della realtà subito contraddetta da un simbolo di play.
Due culture si sono incontrate infrangendosi l'una nell'altra. La ricerca di Mauro Tippolotti di rendere le dinamiche interiori del tempo ha incontrato l'onda primigenia della giapponese Chigusa Kuraishi per la quale la tensione lineare si incurva dissolvendosi in spuma.
Il lavoro di Michela Meloni e Veronica Severi si può considerare paradigmatico per la complessità del processo di avvicinamento, fusione e recupero identitario di ciascuna delle coppie di artisti: un paesaggio d'anima si va arricchendo di illusionistiche concretezze in direzione del paesaggio scabro, terrestre e insieme simbolico, delle piramidi di erosione, punto d'arrivo ma sempre provvisorio di un lavoro di scavo e di umana ricerca.
La mostra Dissolvenze Incrociate è stata allestita nel suggestivo spazio di Villa Graziani a San Giustino (a cui si riferiscono le immagini) dal 18 giugno al 30 luglio 2017, e verrà ospitata in altre location secondo il seguente programma:
- dal 2 settembre al 15 ottobre Fabriano, Complesso San Benedetto
- dal 28 ottobre al 26 novembre Terni, Palazzo Primavera
- dal 2 settembre al 15 ottobre Fabriano, Complesso San Benedetto
- dal 28 ottobre al 26 novembre Terni, Palazzo Primavera
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