Pippo Cosenza è di
Palermo e laureato in ingegneria nucleare. Incarna nell'attualità
l'uomo della Magna Grecia, dove il culto creativo della bellezza si
associava a quello della razionalità, tanto che la lussuosa
intelligenza di un suo antenato di 2500 anni fa poteva dimostrare che
in una gara di velocità tra la tartaruga e la lepre non avrebbe
vinto la lepre. Pippo crea strutture razionali perfette e complesse e
poi vi esercita il potere di Kronos, il più potente degli dei, anche
più di Zeus, e, come il dio che detta le regole, consuma sbiadisce
logora modifica, fa come mille e mille nascite e morti e
sovrapposizioni di genti e di culture. Il suo sogno astratto si
arrende al tempo e sulla scacchiera il re vinto si adagia. Lo fa con
un sorriso dove la malinconia è intrisa di dolci struggenti ricordi.
Il disegno è il suo punto di partenza, come Giorgio Vasari sosteneva fosse necessario alla creazione artistica, ed è la matrice anche nei lavori di Silvano D'Orsi. Nativo di Gioia Sannitica, ha sempre fatto l'artista obbedendo a una vocazione incontenibile ed esuberante. Anche lui uomo del sud, discendente di una popolazione italica che importava arte dalla Grecia e dalla Magna Grecia, sembra aver ereditato la perfezione innata del segno, quella misteriosa magia di bellezza che faceva ancora sostenere alla maggioranza in pieno seicento, dopi i geni indiscussi del Rinascimento e anche dopo star internazionali come Caravaggio e Guido Reni, Velazquez e Bernini, che l'arte greca non era stata mai eguagliata e che mai si era ricreata quella naturale perfezione di umanità divinizzata e quella sintesi che sembrava scritta nel cielo.
Il segno di Silvano
sembra avere la stessa misteriosa storia. Il fatto, come lui direbbe,
di aver sempre lavorato moltissimo, non basta a spiegarla. Il suo
lavoro più vecchio che io conosco è un dipinto murario del 1983 che
io mi trovai a commentare anni or sono scrivendo la guida ai “muri
dipinti” di Mugnano. Le figure femminili avevano già quella
ineffabile mistura di sensualità e di astrazione che continua ad
ammaliare in quelle di oggi. Il simbolismo della situazione, il loro
stare nel chiuso di una stanza con una finestra che si apriva sulla
minaccia di un mondo degradato, si può rileggere alla luce degli
sviluppi successivi dell'arte di Silvano. Quelle due donne erano
ancora integre, mentre quelle degli anni successivi sono diventate
incantevoli manichini e non hanno più una testa e un volto, ma
magnifici grandi cappelli. Corpi torniti, con abiti lussuosi e
lunghissime gambe sensuali attraggono e incantano ambiguamente, il
dramma si veste di un sorriso, la mutilazione si veste di bellezza.
Non c'è un volto dietro la maschera malinconica di Pulcinella,
l'uomo si è perso dietro le sue apparenze in un gioco, però, fatto
di forme elegantissime.
Saper esprimere un
giudizio di valore così amaro in forma di irresistibile bellezza è
la magia che emana dai quadri e dalle sculture di Silvano.
Se Pippo e Silvano hanno come matrice comune il disegno e la ricerca metafisica, Matteo Fiorentino è invece poeta del colore e della luce, ricercatore dell'incanto nel paesaggio. È un impressionista che vuole rendere quell'attimo fuggente in cui ogni cosa si esprime nella perfetta bellezza di una luce che non durerà e che è irripetibile. Vuole afferrare ed esprimere quell'istante come un'epifania di perfezione da far durare invece per sempre, quell'attimo che deve diventare infinito. Ci riesce con una tavolozza ricca di mille colori preziosi e cangianti. L'emozione del colore proietta quel frammento di tempo e di spazio in un infinito fatto di sentimento dove il soggetto perde i suoi connotati di concretezza e si fa vibrazione e luce.
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Magnifici i testi intrisi di poesia e lieve umanità non dimenticano la culla Greca! bravo o brava! andreina de tomassi (salutatemi Pippo)
RispondiEliminaGrazie Andreina, in particolare da Rita che scrive tutti i testi di questo blog (Aurelio si occupa delle foto). Speriamo di incontraci da voi al Furlo con l'ottimo Pippo :)
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