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sabato 17 dicembre 2011

Vasari, arte e ragione

Giorgio Vasari pittore tra Arezzo e Perugia: intelligenza creativa e qualche mistero

Se qualcuno  scorre l’indice analitico di un libro di storia dell’arte, trova un gran numero di pagine in cui ricorre il nome di Giorgio Vasari (1511-1574), ma probabilmente non vedrà neanche un’opera riprodotta né un capitolo a lui dedicato. 
Invece, leggerà citazioni e definizioni tratte dal suo monumentale trattato Le vite e opere de’ più famosi architetti, pittori e scultori, da Cimabue insino a’ tempi nostri (qui ne trovate il testo integrale, nella seconda edizione del 1568). Su questo testo imprescindibile, infatti, si fonda e inizia la Storia dell’Arte. Vasari era convinto della necessità di scrivere quelle “rimembranze” tanto che aveva iniziato a raccoglierle fin dall’adolescenza, poiché, rendendosi conto della meravigliosa ricchezza della produzione artistica italiana degli ultimi secoli, non voleva che si confondessero date, autori e opere come già accadeva allora e come peggio prevedeva che sarebbe avvenuto nei secoli a venire.  Se ne fece un impegno morale ed ebbe la possibilità di fare scuola esprimendo giudizi, critiche e indicazioni che furono molto influenti.


Cliccando sulla figura potete accedere al testo delle Vite (edizione 1568),
 trascritto integralmente su Wikisource

Giorgio Vasari si era trovato a dover mantenere la famiglia fin dalla morte del padre nel 1527 nella peste portata dai Lanzichenecchi di Carlo V. Aveva allora 16 anni. Fu aretino per nascita e fiorentino per formazione e vocazione. Talento precocissimo nel disegno, che restò la base della sua creatività sia come pittore che come architetto e sul quale fondò la sua teoria della creazione artistica.  
Nella diatriba corrente ai suoi tempi su quale fosse tra la pittura e la scultura l'arte superiore, Vasari ne sostiene la parità, realizzata in modo eccelso nelle opere di Michelangelo, dove l'effetto plastico rende scultoree le figure dipinte. Il suo modello è lui:
"Ma nella nostra età ci ha prodotto la bontà divina Michelagnolo Buonarroti, nel quale amendue queste arti sí perfette rilucono e sí simili et unite insieme appariscono, che i pittori de le sue pitture stupiscono e gli scultori le sculture fatte da lui ammirano e reveriscono sommamente" (dal Proemio delle Vite).

La mostra allestita nel quinto centenario della nascita di Giorgio Vasari nel sottochiesa di San Francesco ad Arezzo, visitabile con una interessante ed efficiente audioguida, ripercorre il suo lavoro di storico dell'arte ospitando opere significative degli artisti di cui si parla nelle “Vite”, compreso un bellissimo Cristo Risorto marmoreo del Buonarroti che commuove per la dolcezza dei tratti e che non ha la nervosa muscolatura delle opere più note, ma forme luminose e serene.
  
L'altra mostra aretina, conclusasi domenica 11 dicembre, ospitava molti disegni e dipinti del Vasari stesso, misteriosi e raffinatissimi come le Tentazioni di San Girolamo, San Giorgio e il drago e la Fucina di Vulcano.
Il pensiero dotto e forbito guida un pennello sottile e virtuoso, e il volo della fantasia evoca mondi nobili ed eterei. Gli sfondi sono a volte fiabeschi e sognati come quelli fiamminghi (uno dei suoi aiuti era appunto un fiammingo, Jan Van Straet detto lo Stradano). Tuttavia la grandezza del Vasari come artista non vi si può cogliere appieno e sue realizzazioni più importanti sono gli affreschi stupefacenti o le opere architettoniche, oltre che l’enorme lascito di scuola per moltissimi artisti.


*  *  *

Ma ad Arezzo siamo stati colpiti ed emozionati soprattutto da due opere non presenti nelle mostre.

L'altare della Badia di S.Flora e Lucilla ha  una struttura di grande armonia e limpidezza, e sembra aprirsi sull'infinito nel dipinto centrale con la conversione di Pietro e Andrea. Si è commossi dalla intensa poesia di quel momento assoluto, colto nel corrucciato stupore di un Pietro fatto molto più anziano (non aveva ancora 30 anni al tempo dell'episodio biblico cui si riferisce il quadro) e nella dolcezza grave di Gesù sullo sfondo del mare dagli azzurri mossi e scalati che sfumano oltre lo spazio materiale.


L'altar maggiore della Badia, sormontato dalla finta cupola di Andrea Pozzo (1702)
Il pannello centrale dell'altare vasariano (1563)
Ipotesi: San Pietro ha i tratti di un Vasari invecchiato e ormai prossimo alla morte?
Per confronto, l'autoritratto di Vasari nella Pala Albergotti (1567),
situata nella stessa Badia delle SS. Flora e Lucilla
Particolare del surreale paesaggio marino che  fa da sfondo alla chiamata dei SS. Pietro e Andrea
Il dipinto fu eseguito dal pittore già avanti con gli anni, ed era destinato alla propria tomba: la chiamata di Cristo alla Vita apre lo spazio verso orizzonti ultramondani. 
Quel mare, metafora di viaggio oltre i limiti del noto, che sembra trascendere l'esperienza sensibile e fa pensare all'Aldilà, assomiglia al mare sognato del Perseo e AndromedaE allora si può intuire come l'idea della morte e di ciò che ne segue fosse per Vasari quella del mondo classico, l'Ade pagano, mondo elegiaco di fantasie e ricordi, di quiete e lontananze. 
Giorgio Vasari, Perseo e Andromeda (1570 ca.). Firenze, Palazzo Vecchio, Studiolo di Francesco I
(da www.storiadellarte.com)

Fascino diverso nella tavola immensa (circa otto metri per tre) del Convito per le nozze di Ester e Assuero (1548), destinata al refettorio del convento dei Benedettini annesso alla Badia ed oggi visibile nel Museo Nazionale d'Arte Medievale e Moderna.
Nozze di Ester e Assuero (da TaccuiniStorici.it)
Lo sfarzo degli ornamenti, l'eleganza di acconciature e calzari, la ricchezza di sete e suppellettili parlano della vita di corte che Vasari ben conosceva e nella quale la bellezza era la regola.

Un lungo passo dell'ultimo capitolo, autobiografico, delle Vite  è dedicato proprio a quest'opera. Leggiamolo insieme:

"Mentre che io mi stava così passando tempo, venuto l’anno 1548, don Giovan Benedetto da Mantoa, abate di Santa Fiore e Lucilla monasterio de’ monaci neri cassinensi, dilettandosi infinitamente delle cose di pittura et essendo molto mio amico, mi pregò che io volessi fargli nella testa di uno loro refettorio un Cenacolo, o altra cosa simile. Onde risolutomi a compiacerli, andai pensando di farvi alcuna cosa fuor dell’uso comune, e così mi risolvei insieme con quel buon padre a farvi le nozze della reina Ester con il re Assuero, et il tutto in una tavola a olio, lunga quindici braccia, ma prima metterla in sul luogo, e quivi poi lavorarla; il qual modo (e lo posso io affermare, che l’ho provato) è quello che si vorrebbe veramente tenere a volere che avessono le pitture i suoi proprii e veri lumi, perciò che infatti il lavorare a basso, o in altro luogo che in sul proprio dove hanno da stare, fa mutare alle pitture i lumi, l’ombre e molte altre proprietà. In quest’opera adunque mi sforzai di mostrare maestà e grandezza, comeché io non possa far giudizio se mi venne fatto o no; so bene che il tutto disposi in modo, che con assai bell’ordine si conoscono tutte le maniere de’ serventi, paggi, scudieri, soldati della guardia, bottiglieria, credenza, musici, et un nano, et ogni altra cosa che a reale e magnifico convito è richiesta. Vi si vede fra gl’altri lo scalco condurre le vivande in tavola, accompagnato da buon numero di paggi vestiti a livrea, et altri scudieri e serventi. Nelle teste della tavola, che è aovata, sono signori et altri gran personaggi e cortigiani che in piedi stanno, come s’usa, a vedere il convito. Il re Assuero stando a mensa come re altero et innamorato sta tutto appoggiato sopra il braccio sinistro, che porge una tazza di vino alla reina, et in atto veramente regio et onorato. Insomma se io avessi a credere quello che allora sentii dirne al popolo, e sento ancora da chiunche vede quest’opera, potrei credere d’aver fatto qualcosa, ma io so da vantaggio come sta la bisogna, e quello che arei fatto se la mano avesse ubidito a quello che io m’era concetto nell’idea. Tuttavia vi misi (questo posso confessare liberamente) studio e diligenza."

L'abate ... de' monaci neri cassinensi ... sarà lui la figura che si staglia inquietante sulla vetrata riflessa nel vaso d'argento in primo piano ai piedi dei convitati?


Particolare del vaso: l'immagine qui riportata (da Amaranto Magazine) ha una bassa risoluzione,
ma nel riflesso si può individuare una figura nera incappucciata, accanto a una grande finestra
Da notare anche la modestia con cui Vasari, nelle ultime righe di questa citazione, parla di questa sua opera, che gli sembra non sia perfetta come l'avrebbe voluta.

*  *  *

Con i Benedettini Vasari ebbe un intenso rapporto di lavoro oltre che ad Arezzo, anche a PerugiaNella chiesa di San Pietro si possono ammirare tre sue grandi tele (dipinte nel 1566), in cui la ricerca della varietà e del movimento è equilibrata dalla grazia imponente delle figure.

Le Nozze di Cana, opera che ricorda da vicino la grande tavola aretina appena descritta, offrono una volta di più al Vasari lo spunto per evocare le delizie delle corti cinquecentesche, e per giocare ancora con i riflessi nei vasi. 
I vasi, sempre curatissimi e molto belli, sono quasi una firma per lui, il cui cognome designava il mestiere di famiglia da più generazioni.
Nozze di Cana. Perugia, chiesa di S.Pietro
Particolare: interessante il gioco delle mani e degli sguardi
Anche qui, in basso a destra nel vaso,
alcuni riflessi (una finestra? una figura?) da interpretare

*  *  *

Al termine di questa nostra esperienza vasariana, per quanto limitata alle opere presenti ad Arezzo e Perugia, ci sembra che il teorizzatore della “Maniera” che considerava l'ideale assoluto ormai raggiunto nell'arte rinascimentale, avendo questa eguagliato le vette dei geni dell'antichità classica, e che perciò riteneva che l'artista dovesse attenersi all'imitazione di quegli insuperabili modelli, lasci trasparire nelle sue migliori opere un'emozione profonda quando il soggetto impegna la sua fantasia su un terreno che la ragione e le regole non controllano.
Dietro una ricerca che sembra prevalentemente formale, Vasari pittore investe i suoi quadri dei suoi valori più profondi, sintesi tra la visione del mondo rinascimentale erede della filosofia classica e la grande lezione cristiana: il senso della vita come costante realizzazione di una bellezza che è immanente alle opere stesse ma è il riflesso di una bellezza assoluta e divina.

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